Da Eluana Englaro alla Legge Cirinnà: il dovere di recuperare la civiltà del confronto.

Sette anni fa, la sera del 9 febbraio 2009, moriva a Udine, presso la residenza sanitaria ‘La Quiete’, Eluana Englaro. Causa ufficiale del decesso: arresto cardiaco. Nella realtà questo fu l’effetto finale dell’applicazione di una sentenza di sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione forzata di una donna rimasta in stato vegetativo per un’eternità: 17 anni.

Le coincidenze del calendario dei diritti e delle questioni legate alle nostre vite biologiche, intime, affettive, ripropongono oggi una serie di domande.
Che Paese è l’Italia, a distanza di sette anni da quel redde rationem decretato con la morte di Eluana e alla vigilia immediata di un altro redde rationem sulle unioni civili con il voto al Senato sulla Legge Cirinnà?
Siamo cambiati da quella guerra che sostanzialmente non ha prodotto finora nulla a livello legislativo, visto che non esiste ancora una normativa sul fine vita? Siamo così lontani oggi dal clima infuocato di quei giorni e dall’agghiacciante eco di chi urlò in Parlamento ‘Assassini! Assassini!’ rivolto a chi sosteneva le ragioni di un diritto che pochi giorni fa, in una serie di dichiarazioni raccolte dal Messaggero Veneto, il padre di Eluana, Giuseppe Englaro, ha definito ‘un diritto contro nessuno, ma per se stessa’?

Coincidenza vuole ancora che subito dopo la Cirinnà, a marzo approdi per la prima volta alla Camera proprio la legge su fine vita e biotestamento.
“La vicenda di mia figlia ha fatto capire che il nodo riguarda tutti e che va data una risposta. La magistratura ha già risposto, adesso tocca alla politica. Mi auguro che il Parlamento faccia le cose come vanno fatte. Ho perso un quarto di secolo per far valere libertà e diritti, io non ho più bisogno di nulla per autodeterminarmi e ciò che è accaduto con la vicenda di Eluana adesso serve agli altri, un regalo più grande a tutti Eluana non poteva farlo”.
Beppino Englaro coglie e trasmette in poche frasi il senso civile delle battaglie che su questo, come sul tema delle unioni civili, un Paese dovrebbe condurre.

Englaro 2Nel clima di queste settimane, che hanno anticipato questo nuovo redde rationem targato 2016, le parole di Englaro richiamano ad un senso di civiltà e comunità che sembrano essere state seppellite.

Gli insulti reciproci tra fazioni, gli attacchi di chi considera la conquista dei diritti altrui come una privazione della propria libertà, i contrattacchi di chi sostiene i diritti delle coppie di fatto e degli omosessuali mettendo all’indice e al rogo dell’opinione pubblica tutte le fallibilità della famiglia etero sancita dal matrimonio: una bagarre incessante, incivile. Non meno indegna delle gazzarre d’Aula, specchio di un Paese incapace di misurarsi al proprio interno senza scatenare il fratricidio. Questo è accaduto in queste settimane, provocando un’oggettiva impossibilità di creare spazi di discussione costruttiva, di informazione utile a farsi un’idea che non fosse frutto di isterie e radicalizzazioni. Col risultato che, a parte gli ultrà, in molti hanno alzato bandiera bianca dichiarando una rinuncia volontaria a cercare di capire e a prendere posizione in mezzo a questo frastuono assordante e insolente.

Eppure, proprio come dice Beppino Englaro quando parla della vicenda di sua figlia, si tratta anche in questo caso di questioni che dovrebbero, che devono riguardare tutti. Ma come è possibile questo se continueremo a scatenare reciproche guerre ideologiche, verbali e mediatiche, che hanno come unico obiettivo l’eliminazione della controparte e non l’affermazione di una comunità che ha la maturità di cambiare, pur tra le diversità, assieme?

‘Tocca alla politica’, dice Englaro. Toccherebbe sì alla politica. Toccherebbe alla politica non solo il compito di discutere leggi, ma anche e soprattutto di costruire le condizioni per una discussione civile nel Paese su questi temi. Ridando un senso di collettività che nulla toglie alle legittime battaglie, ma che al tempo stesso non riduce il tutto ad una militarizzazione del confronto.

Tra Cirinnà e fine vita, la politica e un intero Paese hanno il dovere di inseguire questo traguardo di reciproca civiltà.

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